Brexit?

Buongiorno,

non ho scritto nulla su quello che sarà sicuramente il tema del giorno, cioè l'esito del referendum con il quale, mentre leggerete questo post, gli elettori inglesi si saranno espressi circa l'opportunità di rmanere in Europa o meno.

Questo perchè ho delle opinioni largamente difformi da quelle che sento maggioritariamente sbandierare nel tentativo di trattenere l'Inghilterra agganciata all'Europa, ma legate più a sensazioni e ad una idea di politica inattuale che a dati di fatto, quindi, in realtà, più che una opinione da blog è addirittura una opinione da bar.

Ma siccome è il tema del giorno ve la propino lo stesso, anche se a bocced ferme per non influenzare i risultati col mio algido ed autorevole parere :-)

Fossi inglese voterei per restare, perchè in fondo è una condizione che agevola la penetrazione della principale industria inglese, quella finanziaria, nei gangli operativi e decisionali di tutto il vecchio continente, per di più a condizioni di assoluto favore data l'ampia discrezionalità concessa graziosamente alla Gran Bretagna. In caso di Brexit molte banche e finanziarie sembra siano già pronte a spostare le proprie sedi (e quindi buona parte dei relativi fatturati) a Dublino e questo è un danno che, anche se ben lontano dalla serie di inevitabili catastrofi bibliche preconizzate in caso di uscita (1), non vorrei.

Da europeo continentale sono invece perplesso: da un lato devo ammettere che l'uscita di un Paese, per di più di svariate decine di milioni di abitanti e con una fortissima vocazione ai rapporti poltici ed economici internazionali, indebolirebbe l'Europa, dall'altro ho la forte impressione che ad uscire sarebbe uno Stato che ha sempre rappresentato un freno (o nel migliore dei casi) un peso morto nello sviluppo di politiche comuni europee ed il principale cavallo di troia per la nemmeno tanto strisciante sostituzione della finanza più becera nel ruolo di governo dei nostri Stati e delle nostre vite.

Il che potrebbe tradursi nel fatto che l'Europa potrebbe secondo me in prospettiva essere un consesso forse un po' più piccolo, ma molto più coeso ed attento alle esigenze dei suoi cittadini, invece che agli interessi della speculazione. Cosa che non riesco certo ad interpretare in chiave negativa.

Ciao

Paolo

(1) sono ragionevolmente convinto del fatto che sull'inghilterra non si abbatterebbero cavallette e pestilenze, per esempio. Ed anche che non sarebbe immediatamente preda di una dittatura nazifascista che dichiarerebbe guerra al continente (o viceversa, non si capiva bene... )

9 commenti:

F®Ømß°£ ha detto...

Buondì,

non sei l'unico a pensarla così, sentivo lo stesso discorso su R24 in questi giorni.
Se fossi ottimista, sarei d'accordo. Non essendolo ho un po' paura.

Saluti

T.

PaoloVE ha detto...

@T.:

come dicevo specialmente in questo caso le mie sono opinioni da bar (e forse anche meno) e il timore per lo scenario che si apre ce l'ho anch'io (anche se determinate descrizioni apocalittiche mi sono apparse talmente eccessive e poco credibili da farmi pensare che chi le affermava fosse in realtà privo di argomenti reali spendibili a supporto delle proprie posizioni).

La speranza è anche che, davanti al rischio del fallimento complessivo del progetto europeo, la politica europea si interroghi su cos'è diventata l'unione nel tempo e agli interessi di chi sta rispondendo e colga l'occasione per ripensare a come sta operando.

Ciao

Paolo

Unknown ha detto...

Premetto che sin dall’adolescenza, quando vi fui catapultato con la scusa d’imparare l’inglese, sono affettivamente assai legato all’Inghilterra, conosco Londra abbastanza bene, apprezzo il tè ed i biscotti di Fortnum & Mason, ammiro incondizionatamente S.M. la Regina Elisabetta II, mi commuovo al cambio della guardia ed uno dei miei massimi piaceri è acciambellarmi con un romanzo di Wodehouse.
Tuttavia, oggi che che la Gran Bretagna si è autoesclusa dall’Unione, non mi sfugge alcuna lacrima, anzi, provo un certo qual sollievo.
Albione è sempre stata obtorto collo nell’Unione, provocandovi molti danni, non tutti reversibili.
Gioverà ricordare che fino agli anni ‘60 l’Inghilterra stette ben lontana dalle istituzioni europee che allora si stavano formando, preferendo investire sul Commonwealth dei resti del suo impero. Nel ‘61 fu De Gaulle a mettersi “di traverso” intuendo che la Gran Bretagna sarebbe stata la quinta colonna degli USA in seno alla CEE, con gli americani che, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, sempre hanno visto come il fumo negli occhi il costituirsi dell’Europa in potenza economica e monetaria.
Uscito di scena De Gaulle, nei primi anni ‘70 la GB riuscì a farsi ammettere nella CEE, assumendo da subito il ruolo del bastian contrario. Nel 1982 ero a Londra, carico d’ingenuo giovanile europeismo, e fui sorpreso nell’incontrare negli inglesi uno spirito diametralmente opposto al mio idealismo. La Thatcher, che nell’Europa non credeva per attitudine personale e per l’odor di socialismo che promanava dalle politiche sociali europee, aveva infatti inaugurato la politica del “ce lo chiede l’Europa” per fare ingoiare ai britannici ogni più amaro boccone. Più o meno come, vent’anni dopo, presero a fare i suoi omologhi italiani, col risultato di disamorare nei confronti dell’Europa perfino la nostra Penisola, tradizionalmente fra i paesi più idealisticamente filoeuropei.
Da allora poco è cambiato. Quindi… Farewell, Britannia. No regrets.

PaoloVE ha detto...

@ Lorenzo:

condivido l'analisi storica.

E anch'io andai a Londra nell'85 (1), partendo con il mito della cultura e dello stile di vita britannico e ne fui profondamente deluso: mi ritrovai a toccare con mano come una serie di luoghi comuni fossero banalmente falsi e mascherassero una realtà molto meno civile e scintillante, nonchè il diffuso e malcelato senso di superiorità che i locali provavano nei confronti degli altri.

Anche per questo ho sempre avuto l'impressione che sarebbe stato difficile portare avanti una UE in cui alcuni si ritengono superiori e ritengono che i privilegi loro accordati sin dall'origine siano invece un insufficiente omaggio comunque dovuto.

Ciononostante mi spiace non abbia funzionato.

Ciao

Paolo

(1) Ero lì nei giorni del disastro di Stava e del crollo del cambio della Lira: vedere come i giornali affrontarono queti argomenti fu umiliante ed educativo

PaoloVE ha detto...

sempre @ Loernzo:

c'è da dire che io ero più terra terra: i miei riferimenti non erano the, biscotti e cambio della guardia ma le mezze pinte di birra (che in Inghilterra in via del tutto teorica non avrei potuto bere essendo minorenne), il rugby e gli U2 (cui però preferivo l'americano Springsteen).

Solo dopo mi resi conto che Harp e Guinness erano Irladesi come la band di Bono :-)

Ciao

Paolo

Michele R. ha detto...

@Paolo
Great! :-)

Michele R. ha detto...

Buongiorno,
Anche se un po' mi dispiace per l'esito del referwndum, anche io ho sempre percepito gli inglesi come un freno ad un Europa più Europa di quella che è oggi. Come Tommaso la cosa mi fa un po' paura (sinceramente non ho capito di cosa ha paura) perché l'esito rischia di rivelarsi un ulteriore problema verso il cammino per gli stati uniti d'Europa.
La più grande conquista della democrazia, piaccia o meno, è la libertà di scelta da parte del cittadino. È questo è tutto ciò che conta.
Saluti

PaoloVE ha detto...

@ MR.:

"Great!"

Grazie!... ma per cosa? il post, i miei riferimenti, io, tutte e tre le cose? :-)

In realtà avevo (e sono sopravvissuti nel tempo) anche riferimenti british un po' più alti, da Orwell agli inarrivabili Pink Floyd.

Giusto perchè non pensiate che ero proprio un buzzurrone...

Ciao

Paolo

Michele R. ha detto...

Ho trovato divertente il commento delle 10:53, in particolare sugli U2 ;-)
Ciao.