Mutande verdi: magari non eleganti, ma lecite

Buongiorno,

nei giorni scorsi una raffica di assoluzioni di politici per accuse di varia natura (da De Luca a Marino a Cota) hanno spinto prima De Feo su Repubblica, poi , sempre su Repubblica, Michele Serra, quindi Sofri sul Post, e Giannino su Radio24 a riflettere su come le modalità di alcune indagini ai danni di politici -poi risoltesi nel nulla- abbiano di fatto avuto un ruolo importante se non proprio primario nel vanificare, alterandolo, il risultato del voto democratico, esercizio per alcuni ormai desueto e vecchio, ma cui personalmente sono affezionato, come avrete ben capito anche dall'ultimo post.

Devo ammettere che le risposte al problema ventilate nei vari articoli (o trasmissioni radiofoniche), con la parziale eccezione di quanto nel post di Sofri, mi sono sembrate inadeguate.

Sostanzialmente: Giannino caldeggia la proposta di Zaia di istituire una corsia preferenziale per i politici, che acceleri i tempi del processo, De Feo una maggior attenzione da parte dei magistrati nell'intraprendere indagini su fondamenti poco solidi, Michele Serra un riequilibrio tra l'enfasi della notizia ed il sussurro della smentita.

Mi pare francamente che le proposte siano francamente poco utili e mi pare che la parte più grossa del problema non venga affrontata, come forse invece comprende Sofri e provo a dimostrarlo partendo dal caso Marino, cui evidentemente mi sono affezionato.

Come ricapitolavo nel post precedente Marino è stato fatto cadere con il pretesto degli scontrini dopo una accurata e furibonda campagna mediatica basata su falsità ai suoi danni. I tempi di indagine e processo (indagine e processo peraltro doverosi in presenza di elementi che potevano far ritenere esistessero quei reati) sia sugli scontrini che su Mafia Capitale sono stati ininfluenti ed in realtà assoluzioni e proscioglimenti sono arrivati in tempi rapidi per gli standard italiani -cosa non vera nel caso di Cota, invece-.

Una assoluzione giunta in una settimana non avrebbe potuto salvare Marino, al più ne avrebbe rimandato la caduta al successivo scandalo montato ad arte, scandalo che, come era successo nei precedenti casi, non avrebbe necessariamente avuto bisogno del puntello di una indagine, di un processo giudiziario o di un PM e che avrebbe ancora una volta tratto il massimo del proprio vigore da un giornalismo sensazionalista e forcaiolo se non apertamente eterodiretto che trasforma nei titoli di prima pagina la falsa certezza del reato e la presunzione di colpevolezza in una inappellabile sentenza di condanna preventiva.

Nè onestamente possiamo dire che Marino sarebbe stato salvato da scuse o da una rettifica a posteriori, dopo l'assoluzione / proscioglimento, che avesse avuto la stessa risonanza: non sono le scuse -dovute sia a Marino che a Cota che all'impresentabile De Luca- ad evitare il danno ai politici e soprattutto, nel caso di rovesciamenti istituzionali, ai loro elettori (e non solo ai loro, in realtà) quando il voto viene sovvertito.

In questo Sofrii sembra essere l'unico a capire ed ammettere che i giornalisti hanno avuto IL ruolo centrale nel fomentare lo scandalo e la piazza e che quindi, prima ancora e molto più ampiamente di giudici e magistrati, devono essere i giornalisti a rimettere il proprio operato nei binari dell'etica proprio nel momento in cui la notizia ha origine.

Perchè se un magistrato deve indagare in presenza di indizi e può dare origine a processi che terminano in assoluzione, non è invece detto che il giornalista debba condannare in assenza di prove a tutta pagina e caratteri cubitali, come sta sistematicamente avvenendo, diventando il megafono delle becere arene di twitter e facebook.

Il problema è che risolvere questo problema richiede innannzitutto prenderne coscienza (e dagli articoli e ttrasmissioni citate direi che ne siamo ben lontani) e poter contare su veri professionisti della comunicazione in luogo dei troppi ultras da stadio prezzolati che evidentemente popolano le redazioni

Ciao

Paolo

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