Il made in Italy: l'arredamento

Buongiorno,

Provo a sfatare un po' di miti nei quali spesso ci crogioliamo acriticamente pensando di essere la punta di diamante mondiale in settori dove la nostra fantasia, la nostra creatività, la nostra cultura, la nostra storia ed un sacco di altre fanfaluche dovrebbero ovviare a tutto il resto e renderci primi ed unici al mondo.

I settori nei quali non dovremmo temere alcuna concorrenza, quindi. Vi va bene se oggi, per iniziare, parliamo del settore dell'

ARREDAMENTO?


Qualcuno di voi è in grado di indicarmi una ditta italiana che possa confrontarsi con questa?


Fatturato (2009): 21,5 miliardi di €
Dipendenti  (2009): 122.000
Presente in 39 Paesi


Avevo pensato a queste, ma siamo ben lontani:

Fatturato (2007): 200 milioni di €
Dipendenti (2007): 500
Presente in 50 Paesi




Fatturato (2006): 250 milioni di €
Dipendenti (2006): 1500
Presente in 80 Paesi


Ciao

Paolo

7 commenti:

Unknown ha detto...

Giuseppe ha detto...

Non sono sicuro di quale sia l'obiettivo di questo intervento... Se vuole essere un monito per l'impianto industriale italiano, che sempre più evidentemente risulta inadeguato nelle dimensioni, frammentato negli interessi, in sostanza legato ancora a un concetto di impresa anacronisticamente ''familiare'', mi trova perfettamente d'accordo. Le soluzioni ci sono e sono note a tutti, dalle joint ventures, alle più drastiche fusioni... In Italia abbiamo i comparti industriali, che a mio avviso sono uno strumento potente ma che deve confrontarsi con una diffusa diffidenza tra vicini, una sorta di incastellamento nel proprio piccolo (problema storicamente frutto di una mentalità prettamente Italiana fin dal medioevo), vero prolema dell'impresa, che le istituzioni sembrano ignorare, se non addirittura fomentare. Una configurazione a cluster può rendere i processi di adattamento al mercato più flessibili e rapidi, se supportato, o quantomeno non disturbato dal sistema legislativo e istituzionale. Dall'altro lato il fatto di rimanere 'piccoli' limita il potere di imporsi nei mercati, dalla decisione degli standards alla leadership nell'innovazione. Risulta chiaro quindi che di questa situazione non solo non si riescono a sfruttare i punti di forza, ma questi stessi si trasformano in ulteriori debolezze. La mia comunque non vuole essere una apologia dell'imprenditore italiano vittima del clima istituzionale, ci sono responsabilità da ambo le parti, semplicemente per cambiare bisogna cominciare col dare sicurezza e incentivare gli imprenditori a mettersi insieme, e sappiamo bene che solo uno Stato forte (ed unitario) può fare ciò.

Giuseppe.

francesco.caroselli ha detto...

Mah paolo non sono d'accordo, mister Ikea è l'uomo piu ricco del mondo...
Mi sembra un po ingrato questo confronto.

Se proprio vogliamo parlare di Ikea e di Italia io trovo scandaloso questo

PaoloVE ha detto...

@ Giuseppe & FC:

credo che la cosa diventerà più chiara con il passare del tempo (prevedo una rubrica di qualche puntata): il brand Made in Italy può essere un plus, ma solo quando si è in grado di competere sulla reale sostanza del prodotto offerto, perchè non siamo gli unici depositari di cultura e fantasia, come spesso amiamo pensare....

Ciao

Paolo

PaoloVE ha detto...

... in sintesi, e per essere più chiaro, questo è l'esempio di come una azienda che abbia deciso di investire molto massicciamente in ricerca, innovazione di prodotto e processo, marketing e che abbia avuto il coraggio di espandersi invece che focalizzarsi solo sul core business realizza fatturati che sono di ordini di grandezza superiori a quelli di chi vede come primo motore quello della propria "fantasia e creatività", proprio in uno dei campi in cui siamo convinti che queste due caratteristiche debbano pesare di più.

E, poichè fatturato ed utili sono i due metri di misura del successo delle aziende, questo fatto dovrebbe farci venire un dubbio: il confronto vuole essere impietoso, ma è la realtà a fornire quelle cifre, che le nostre chiacchiere non possono modificare.

E vedremo quanti possono essere i dubbi in tal senso.

Ciao

Paolo

Michele R. ha detto...

Caro Paolo,
Sara come dici ma, a parte che trovo divertente girare per gli store dell' Ikea per acquistare le cianfrusaglie, ma continuo a preferire i nostri mobili. A me lo stile (un esempio) Ikea di molti articoli non piace.

PaoloVE ha detto...

@ MR:

posso anche essere d'accordo con te, ma evidentemente, se il giro d'affari che Ikea realizza è così tanto superirore a quello delle ditte italiane, vuol dire che la loro offerta soddisfa un pubblico molto più ampio di qiello delle nostre aziende concorrenti, magari non puntando solo su criteri estetici riconducibili al gusto italico, limitazione che potrebbe comprimere moltissimo il mercato cui ti rivolgi.

Ciao

Paolo

Michele R. ha detto...

Caro Paolo,
nel mio commento sono stato riduttivo, è chiaro che in prima istanza i prodotti devono piacere e quindi è fondamentale l'estetica del prodotto. Detto questo ho testimoniato che il modello vincente è quello dell'ikea, dal momento che pure io sono entrato in un suo store trovandolo anche divertente.

Se ad esempio scavolini e berloni si organizzassero come ikea forse farebbero di più con alcune conseguenze sull'occupazione pensando che i prodotti ikea sono disegnati in Svezia ma vengono realizzati dalla Cina e simili. Non credo che questo avvenga con i nostri produttori.

Aggiungo poi che proprio per quanto detto sopra i prezzi ikea non mi sembrano così competitivi rispetto ai nostri produttori.