Occupazione: la nebbia dei tweet

Buongiorno,

nei giorni scorsi il susseguirsi di notizie sul mercato del lavoro occorso in occasione dell'attivarsi del Jobs Act ha dato un po' di fiato ai tweet dei fan (Renzi in prima fila) e dei dei detrattori dell'operato del governo.

Si è partiti con con gli istituzionalissimi cinguettii governativi che esaltavano il fatto che tra gennaio e febbraio, proseguendo un trend iniziato già a fine 2014, la nuova politica italiana sul lavoro che ha come punta di diamante il Jobs Act avesse creato oltre 79mila nuovi posti a tempo indeterminato.

A ruota è giunto il fronte dei gufi e rosiconi, per di più inutilmente pignoli, a puntualizzare che:
  • non si trattava di nuovi posti di lavoro, ma di conversioni di posti già esistenti
  • non si trattava di un effetto del Jobs Act, che sarebbe diventato operativo solo successivamente alla rilevazione del dato
  • non si trattava di un dato strutturale, ma di una situazione contingente legata alla possibilità di accedere a decontribuzione entro un certo limite di disponibilità di fondi
E, immediatamente dopo ci si è ritrovati a commentare il dato sull'occupazione che vedeva un ulteriore arretramento, specialmente sul fronte dei giovani e donne (queste ultime vittime di un crollo occupazionale drammatico).

Nel baillame di commenti dei tifosi che rendono  difficile ad un osservatore distratto farsi un idea su quanto sta succedendo in un ambito invece per noi cruciale, è bene mettere un po' d'ordine ed evitare esagerazioni, in un senso e nell'altro:
  • sui dati di cui parliamo il Jobs Act (non ancora operativo) può al più aver agito in senso depressivo dell'occupazione, spingendo eventualmente le imprese ad attendere di assumere a condizioni per loro più favorevoli delle precedenti, effetto depressivo che svanirà con l'entrata a regime delle nuove norme
  • le politiche del lavoro sin qui condotte non hanno portato a risultati degni di nota in termini di nuova occupazione, ed anzi ci mantengono in una condizione generalmente peggiore degli altri Stati europei, confermando un trend ormai ultradecennale che mostra come nei paesi occidentali siano state le politiche industriali a produrre occupazione e non la progressiva precarizzazione e svalutazione del lavoro
  • le stesse politiche hanno invece prodotto un miglioramento della qualità dell'offerta del lavoro, perchè i 79mila rapporti convertiti a tempo indeterminato permetteranno ad altrettanti lavoratori flessibili (tali si erano già dimostrati) di rapportarsi con una realtà che invece non lo è mai stata e non lo è diventata (trad. ottenere mutui e finanziamenti, per esempio) (1)
Se gli entusiasmi renziani erano quindi decisamente eccessivi, lo erano quasi altrettanto i commenti di chi non vuol vedere alcunchè di buono nei dati: in fondo, pur in assenza di una politica industriale in grado di far ripartire l'occupazione, alcuni aspetti purtroppo estemporanei delle politiche del lavoro hanno un po' migliorato la qualità dello stesso.

E, sotto il profilo dell'onestà intellettuale (2), segnalo che effettivamente i dati smentiscono palesemente (79mila volte) gli assunti di chi voleva che il contratto a tutele crescente fosse l'unico modo per provare ad eliminare un po' di precarietà dal mercato del lavoro. Si poteva e si può operare diversamente, ma il governo ha scelto diversamente.

Ciao

Paolo


(1) e questo potrà essere un piccolo stimolo alla ripresa economica

(2) aspetto non meno importante dei risultati nel momento in cui, come sta avvenendo, le scelte politiche sono dettate da posizioni ideologiche rigide ed indiscutibili

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