Imboscati, infermieri e mal di schiena

Buongiorno,

da alcuni giorni, principalmente a seguito di questo articolo su Repubblica, si torna (sempre che si sia mai smesso) a parlare dei tantissimi che nel pubblico, tra le altre cose, abusano (oppure più correttamente abuserebbero) di certificati medici per ottenere esenzioni da parte delle attività per le quali erano stati inizalmente assunti.

Intendiamoci, non lo scrivo in maiuscolo, ma il concetto è quello: il problema esiste e non è piccolo, ma ritengo che i dati, per come sono presentati, lo ingigantiscano e distorcano, almeno per quanto riguarda un paio di aspetti .

Parto dalla mia esperienza, suggerendovi di fare un piccolo sforzo di fantasia: provate a immaginare come vengono svolte da quelli che generalmente vengono indicati come infermieri alcune delle attività più comuni e frequenti, quali l'aiutare un paziente allettato ad assumere una posizione più comoda o a lavarsi oppure l'effettuare il suo trasferimento grazie a barelle, sedie a rotelle o letti trasportabili.

Poi confrontate il risultato della vostra immaginazione con quanto ci racconta l'Inail in materia di movimentazione manuale dei carichi  (potrebbe anche interessarvi quanto dice la legge 81 in materia di sicurezza sul lavoro) oppure sulle operazioni di spinta e traino.

Sorprendentemente, a valle di questo semplice esercizio, il fatto che il mal di schiena possa essere una patologia caratteristica della professione e anche molto diffusa vi sarà ben chiaro, cosa che invece dall'articolo non sembra evincersi. 

E magari vi sarà ben chiaro anche che la più o meno marcata adozione di "moderni" sistemi che riducano le sollecitazioni del rachide (quali sollevamalati, letti da degenza comandati elettronicamente, traslatori e carrelli trasportatori per letti / barelle) da parte di realtà più o meno aggiornate o più o meno sensibili a queste problematiche possano comportare una incidenza molto diversa di queste patologie anche in termini geografici (1).

Potrà sembrare bizzarro, ed evidentemente non chiaro all'estensore dell'articolo, anche che in alcuni contesti ospedalieri si può essere esposti con discreta frequenza ad agenti biologici o agenti chimici (detergenti, disinfettanti, farmaci, preparati, ...) cui, col passare del tempo, ci si può sensibilizzare sino al punto da trasformare la cosa in patologia richiedente esenzione.

Personalmente, stante anche il fatto che le esenzioni derivanti da questi motivi portano ad attività diverse, non necessariamente meno faticose o rognose e non certo ad un comodo riposo retribuito (2), mi aspetto pertanto che la maggior parte di quelle esenzioni siano di natura fisiologica, con discreto pregiudizio dei contenuti e delle analisi derivate dalla lettura di un articolo che, purtroppo, invece di tentare una ancorchè minima distinzione tra problemi reali ed abusi, mette tutto nello stesso sensazionalistico calderone.

Ciao

Paolo

(1) Aneddoto personale: anni fa, nel mio peregrinare professionale ritrovo presso un diverso ospedale un RSPP con cui avevo già lavorato altrove. Chiacchierando del più e del meno mi spinsi ad ipotizzare (azzeccandoci alla grande, come lui stesso ebbe modo di confermarmi) come nella seconda realtà i problemi al rachide fossero molto più diffusi che nella precedente. Il tutto sull'unica (ragionevolissima) base che in proporzione vi dovevo gestire molte meno apparecchiature destinate a preservare gli operatori...

(2) nella presentazione linkata sopra trovate anche dei dati estratti da uno studio condotto negli USA che non sembrano particolarmente difformi dai quelli  trattati sensazionalisticamente dalla stampa italiana, il che potrebbe probabilmente tradursi parzialmente nel fatto che il problema non è nè italiano nè legato all'ambito pubblico...

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