Più flessibili, più poveri, più disoccupati

Buongiorno,

questo post prende spunto da un po' di dati relativi allo stato della nostra economia e del mercato del lavoro e da un commento postato ieri  nel post sulla propaganda dei renziani:
  1.  il costo della manodopera italiana si conferma per il quinto anno consecutivo inferiore a quello medio dell'area Euro (anche se c'è chi ama farvi credere il contrario)
  2. le aziende italiane stanno provando ad agganciare la ripresa degli stati esteri, ma soffrono il crollo del mercato interno
  3. i lavoratori "atipici" creati in vent'anni sono sempre di più e sempre meno pagati
  4. il numero di disoccupati è ai massimi da 35 anni a questa parte
  5. c'è chi continua (come Renzi e Cameron) a ritenere necessario proseguire nella direzione indicata dalle riforme Treu e Biagi nella speranza di creare lavoro e benessere (asserendo che il contrario sia ignorare idealisticamente l'amara realtà della situazione economica)
Ebbene, l'insieme dei dati che ho appena elencato è scarsissimamente compatibile (piaciuto l'eufemismo?) con l'assunto tutto ideologico che un'economia che punti prevalentemente su precarizzazione e riduzione del costo del lavoro (come è stata quella italiana da vent'anni a questa parte) abbia delle prospettive di miglioramento.

E poichè tra la realtà e un'ideologia ad essere sbagliata può essere solo quest'ultima, credo che molto probabilmente chi sostiene ancora queste posizioni abbia torto nella misura in cui le propone allo scopo di migliorare le condizioni del Paese (non sostengo che non ci possa essere chi ne abbia beneficio, sia chiaro, ma complessivamente su un orizzonte ventennale i risultati per l'Italia sono sconfortanti).

La mia interpretazione di quei dati la conoscete già, e mi pare sostanzialmente coerente con i dati che cito (mi pare molto più di quella di cui al punto 5 dell'elenco): la precarizzazione del lavoro italiano ha portato direttamente ad una progressiva contrazione dei salari e ad una ancor maggiore contrazione della capacità di spesa dei lavoratori (1), e, indirettamente, al tracollo del mercato interno e, conseguentemente, della quota di fatturato che le aziende ricavano dal mercato interno, il tutto senza generare occupazione. (2)

Per vent'anni abbiamo agito solo su leve scarsamente efficaci se non addirittura controproducenti (3), nella convinzione che il ruolo dei governi fosse quello di assecondare le richieste del mercato, piuttosto che di interpretarlo per portare il Paese ad operare con modelli che di volta in volta permettano di mettere a frutto maggiori benefici (4).
 
Il che vorrebbe dire, ad esempio, anche posizionarsi su nuovi mercati a maggior margine, ristrutturarsi in maniera più efficiente, sviluppare innovazione, darsi solidità finanziaria. Cose nelle quali le imprese italiane non hanno certo brillato negli ultimi anni, preferendo troppo spesso limitarsi a chiedere ai dipendenti di accettare salari e condizioni di lavoro peggiori, e che un governo degno di questo nome dovrebbe provare a promuovere, per esempio agevolando fiscalmente e semplificando la burocrazia, le aziende che crescono di dimensione, che si fondono, che realizzano consorzi, che allungano le filiere nazionali, che investono in R&D, che si quotano in borsa, ...

Il tale ottica la mia perplessità (o meglio il mio timore) è che l'imprenditoria italiana non abbia una classe dirigente in grado di gestire un simile modello economico e sociale, come ho già avuto modo di rimarcare anche recentemente.

E purtroppo le condizioni di finanza pubblica rendono al momento difficili ipotesi di investimenti in infrastrutture e di riduzioni del carico fiscale sulle imprese, che sono altre leve significative ipotizzabili in via teorica, in assenza di una forte revisione dell'efficienza del settore pubblico.

Ciao

Paolo

(1) Facciamo il confronto tra quanto può spendere/investire Mario, dipendente a T.I. che gauadagna 1.200 € al mese è può accedere a mutui e finanziamenti e Filippo, CO.CO.CO che ne guadagna 850 e cui le banche non concedono mutui e finanzamenti. Chi dei due compra casa? Chi dei due cambia l'auto? Chi dei due va in vacanza? Chi dei due fa girare maggiormente l'economia? Chi dei due può permettersi un figlio? Non certo il precario Filippo.

(2) In tal senso i famosi 80 € in busta promessi da Renzi, potrebbero avere qualche piccolo effetto 

(3) ricordate le guerre di Marchionne con i sindacati in un settore dove il costo della manodopera incide meno del 6% sul prezzo del prodotto (come dire che se gli operai Fiat lavorassero gratis questo potrebbe tradursi in una riduzione di prezzo di una Punto al più del 6%?)

(4) badate bene che non sto dicendo la fesseria che i governi dovrebbero combattere contro il mercato: sto dicendo che devono indirizzare i loro Paesi in modo che il mercato sia un'opportunità. Per usare un paragone sportivo: non sto dicendo che gli sci debbano andare in salita, ma nemmeno, come fanno troppo spesso molti "liberisti", che la massima pendenza sia sempre la scelta migliore, specialmente se punta al dirupo. E' per questo che si tracciano le piste ed è intelligente seguirle in base alle proprie capacità.

2 commenti:

Philip Michael Santore ha detto...

La contrazione della media dei salari non dipende tanto dalla precarizzazione, quanto da una dinamica la cui causa è più a monte: la progressiva perdita di competitività, che ha varie cause, fra le quali anche la rigidità del lavoro.
Altrimenti sarebbe facile: basterebbe tornare alla legislazione precedente alla legge Treu per trasformare i precari in fissi e di conseguenza assistere a una crescita dei salari e quindi a un'impennata del PIL trainata dalla domanda.

PaoloVE ha detto...

@ PMS:

una risposta come questa fa delle affermazioni assertive e recise senza portare alcun riscontro fattuale a supporto e quindi si inquadra molto bene nell'approccio ideologico di cui parlavo.

La precarietà, contrariamente a quanto affermi, provoca contrazione dei salari e del loro potere d'acquisto: aumenta infatti l'offerta di lavoro in maniera più veloce della domanda (sapendo che il contratto scade il lavoratore comunque cerca altro, anche al ribasso per garantirsi continuità di reddito, ed aumenta l'offerta di lavoro, mentre le aziende normalmente tendono a coprire eventuali buchi solo dopo aver provato a fare a meno di chi ha lasciato) e quindi modifica il rapporto tra domanda ed offerta a favore della domanda. Il risultato è la discesa dei salari.

Inoltre per i precari la busta paga, proprio per la sua aleatorietà, perde il suo valore di garanzia per mutui e finanziamenti, quindi settori economici quali l'immobiliare e l'automotive (che richiedono investimenti consistenti da singoli) diventano più difficili.

E, guarda un po', in Italia questi due settori sono tra quelli che se la cavano peggio, giusto per aggiungere elementi indiretti a quelli già in elencoa conferma delle mie tesi...

E, si, sino a prova contraria e come dico nel post, tutto mi fa ritenere che l'effetto di una stabilizzazione del precariato avrebbe proprio l'effetto di migliorare le condizioni economiche del Paese.

Mentre, sempre parlando di prova contraria, vent'anni di crescente precariato non hanno portato alla crescita economica ed al benessere che sono stati continuamente promessi come risultato di questa politica (e a dirlo sono i fatti di cui nell'elenco).

Il che significa che, probabilmente, si sarebbe dovuto guardare anche altro -innovazione, automatizzazione, R&D,...-, e non si è fatto, preferendo limitarsi a precarizzare e comprimere i salari.

E significa che, probabilmente, continuando sulla stessa strada, si otterranno gli stessi risultati.

E significa che, probabilmente, sarebbe opportuno concentrare attenzione e risorse su aspetti diversi ed evidentemente di maggior peso, se vogliamo ripartire.

Ciao

Paolo