Buongiorno,
oggi post difficile, perchè si gioca su sottili distinguo: spero di non incartarmi perchè mi rendo conto di muovermi sul filo di una lama sottile ed affilata, specialmente se dovessero essere confermate le illazioni che vorrebbero che l'attentato di Istanbul sia opera di militanti dell'Isis.
Il cordoglio e la solidarietà alle vittime è fuori discussione: nessuno dovrebbe soffrire e morire così, nessuno dovrebbe essere condannato a vivere nel dubbio e nel timore e in tal senso chi abbia commesso l'attentato non cambia nulla, come non cambia chi ne sia stato vittima.
Ma se in altre occasioni mi sentivo vicino e solidale al contesto che era stato colpito, cosa che lo slogan Je suis Charlie/Paris/Bruxelles/gay/... sintetizzava magari con un po' di superficialità ma anche con una certa efficacia, stavolta non me la sento di sentirmi Istanbul.
Perchè, purtroppo, la Turchia è un Paese che vive una deriva autoritaria ed autoreferenziale, che reprime, non disdegnando l'uso della forza e della violenza, i diritti delle minoranze (Armeni, Curdi o omosesessuali poco importa), che discrimina le donne e che, in sintesi, si inserisce purtroppo nel clima per cui le discriminazioni, la violenza, la forza e la prevaricazione sono strumenti accettabili ed accettati per l'esercizio della politica.
Ed in questo contesto l'attentato di Istanbul, pur probabilmente causato dalle bestie dell'Isis, non appare più nettamente come un terribile aspetto di uno scontro tra mondi diversi, tra cui uno evidentemente e chiaramente privo di qualsiasi aspetto civile (cosa che rende facile identificarsi con l'altra parte), ma qualcosa di un po' più simile ad uno scontro tra pari.
Quindi, ribadisco, piena e totale solidarietà e cordaglio a tutte le vittime dell'attentato, turche e non, ma, a malicuore, no, je regrette, mais je ne suis pas Istanbul...
Ciao
Paolo
(1) e mia figlia sostiene che tutto quello che viene prima del ma non ha valore (credo sia una citazione da Gane of Thrones)
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