Broken wings, la rivincita

Buongiorno,

nel titolo ho voluto citare uno dei numerosi post dell'Antizanzara in cui si parlava, magari di sfuggita, del caso Alitalia - CAI.

Qualche giorno fa ho sentito alcuni spezzoni della trasmissione di Barisoni in cui si spiegava come mai i soci di CAI stiano attendendo con trepidazione la fine del lock up che impedisce ai soci di vendere le loro quote, per cederle ad Air France senza rimetterci troppo, e come la pretesa di guadagnarci su potrebbe concludere definitivamente in tempi brevi la storia della compagnia di bandiera tornando al fallimento sfiorato nel 2008.

Le cifre che ho sentito snocciolare sono avvilenti.

Vado a memoria: si va dal miliardo cui si è rinunciato dalla sfumata vendita ad Air France, ai trecento milioni concessi in un prestito ponte che non sarà restituito, alla contrazione di rotte e vettori che, in un periodo di crisi, hanno portato Alitalia a perdere in 5 anni 16 passaggeri ogni cento tra quelli che volano in Italia, scendendo da 56% a 40% del totale, continuando quindi a fare molto peggio del mercato, pur avendo avuto in dono sostanzialmente il monopolio delle principali rotte interne ed acquisito AirOne. Per non voler parlare del buco nero di Malpensa.

Insomma i (pochi) miglioramenti riscontrabili nei bilanci sembrano essere legati più al ridimensionamento dell'azienda che a processi più efficienti.

Chi ha investito in Cai ci ha rimesso il capitale e cerca di uscirne. In mezzo troviamo banche, concessionari pubblici ed i soliti noti, presenti direttamente o attraverso controllate e scatole cinesi: Gavio, Toto, Caltagirone, Ligresti, Riva, Colaninno, Angelucci, Benetton, Marcegaglia, ... imprenditori e finanzieri che, ritengo, non avranno certo investito un miliardo nell'operazione senza essere più che certi di averne un ritorno, magari su un altro fronte, .

A conferma che per qualcuno il tempo non sembra passare risento le stesse considerazioni di 5 anni fa sulle condizioni dell'azienda, e numeri persino peggiori.

Con un'unica differenza: sino al 2008 lo sfascio di Alitalia era stato addebitato in larghissima parte a sindacati e lavoratori, cui successivamente erano stati imposti pesantissimi tagli numerici ed altrettanto o ancor più pesanti tagli alle retribuzioni, ritenendo che si dovesse partire da lì per risanare l'azienda.

Da quanto vedo, oggi invece emerge chiaramente, ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo, l'ovvio fatto che in un'azienda simile (capital intensive si diceva quando affrontai il mio paio di esami di economia all'università) il costo della manodopera è un fattore non particolarmente importante (il che non vuol dire che non vi fossero eccessi e sprechi, beninteso, e soprattutto non vuol dire che questi non dovessero essere tagliati, ma significa che non era certo il punto di partenza del risanamento).
Che ad essere decisivo nel disastro è stato molto più un management incapace (e protrattosi nella attuale gestione) che il tanto vituperato personale, che attualmente è fuori dai giochi.

E che i tentativi di soluzione intrapresi sono stati connotati molto più da scelte politiche ed ideologiche sbagliate che da buonsenso.

Infatti, sull'onda di un credo ideologico molto forte in questi anni, si è agito prevalentemente sulla leva del personale con un'intensità molto rilevante, senza che ciò producesse significative inversioni di marcia.

Alitalia sta morendo perchè:
  • schiacciata dall'essersi orientata sempre di più al solo mercato italiano a breve raggio dove era favorita dal regime monopolistico sui voli (e dove ha finito collo scontrarsi con la prevedibilissima crescente concorrenza dei treni ad alta velocità), 
  • ha rifiutato logiche di partnership internazionali e le conseguenti economie di scala e sinergie,
  • incapace di gestire i servizi in appalto in modo economico ed in grado di garantire qualità (dall'handling alle manutenzioni), 
  • incapace di sviluppare sinergie intermodali che estendessero i collegamenti dagli aeroporti ai centri abitati (motivo prevalente del fallimento di Malpensa), 
  • ha ed aveva strutture irrazionali e pletoriche (l'ingiustificato doppio hub internazionale italiano, per fare un esempio, o le faraoniche sedi di rappresentanza estere),
  • incapace di affrancarsi da un modello organizzativo inadeguato da decenni. 
Tutti argomenti sui quali lavoratori e sindacati ovviamente non hanno e non hanno mai avuto voce in capitolo, se non molto marginalmente, e sui quali il ridimensionamento degli organici e delle retribuzioni ha potuto molto poco. Ma il luogo comune dei dipendenti che hanno affondato la compagnia rimarrà inscalfibile.
 
Ciao

Paolo

2 commenti:

F®Ømß°£ ha detto...

Buondì,

siamo alle solite. La pessima qualità della classe dirigente non è mai considerata tra le cause del declino.

È sempre colpa degli altri.

Visto il prepotente ritorno di B, aiutato dai soliti amici giornalisti (come ieri sera), andrebbe ricordato tutti i giorni che Dio manda in Terra le modalità teppistiche con cui nel 2008 fece perdere un sacco di soldi a noi contribuenti con la fantafuffa della cordata dei "coraggiosi".

Basta leggere i nomi di questi personaggi per capire che il problema del Paese va ben al di là della sua classe politica.

E Forza Italia

Saluti

T.

PaoloVE ha detto...

@ tommaso:

proprio così.

E l'errore di base è nel concentrarsi nel cercare un capro espiatorio, piuttosto che la soluzione di un problema...

Ciao

Paolo