Buongiorno,
in questi giorni, come avviene ciclicamente da un po' di tempo, molti commercianti, prevalentemente piccoli, stanno protestando contro le liberalizzazioni degli orari nel mondo del commercio, trovando nel mondo politico anche alcune sponde disposte a dar credito e spazio ad iniziative volte a tentar di mantenere le cose nei termini in cui sono sempre state a memoria di italiano, con orari fissi, unici e regolati centralmente per legge.
I commercianti lamentano il fatto che la liberalizzazione degli orari li metterebbe in condizione di esser costretti a tenere sempre aperto, notte e festivi compresi, per reggere la concorrenza della grande distribuzione, con le ovvie spiacevoli conseguenze sulle proprie vite: rinunciare ad avere una vita familiare, tempo libero, ferie,...
E, a sentire tutto ciò, io sento lo stesso cattivo sapore di ipocrisia che provavo quando non molto tempo fa ho scritto questo post, che trattava una situazione per molti versi molto simile.
Immagino infatti che molti di quelli che adesso protestano perchè il mercato impone a loro di dover diventare flessibili abbiano dei dipendenti e, potete scommetterci, se li hanno assunti negli ultimi vent'anni la maggior parte di questi ha vissuto e probabilmente vive tuttora le "gioie" della flessibilità che il datore di lavoro pretendeva e pretende.
Anche loro avrebbero voluto godere pienamente di vita familiare, tempo libero, ferie,... ma gli veniva spiegato come fosse necessario, giusto e persino bello e conveniente essere flessibili. Inoltre era il mercato ad imporlo, quindi bisognava e bisogna accettare di buon grado. Inutile pretendere di fermare il tempo e la modernità, inutile pretendere che una legge o una normazione potesse fermare l'inesorabile trionfale progresso del benessere collegato alle liberalizzazioni: sarebbe stato inutile e controproducente.
E anche stavolta, come nel caso dei giornalisti del Corriere, le posizioni sostenute o accettate sulla pelle degli altri con un atteggiamento che stava tra il fatalismo spesso anche abbastanza compiaciuto ("Cosa ci stanno a fare gli operai sulle gru o nelle fabbriche occupate: la proprietà ha già deciso, credono di essere rimasti negli anni settanta?") ed il fastidio ("Si rifutano di lavorare la domenica? Ma sono pazzi? E' sicuramente colpa dei soliti comunisti della Fiom: non si rendono conto che che così saranno costretti a chiudere?") vengono di punto in bianco scordate se debbono applicarsi alle proprie algide ed auguste chiappe.
Con buona pace di logica e coerenza e, ovviamente, senza trarre dalla situazione insegnamento alcuno: non credo che i datori di lavoro che adesso protestano, una volta assaggiata l'amara minestra che stanno propinando ai propri dipendenti, ne trarrà le conseguenze e darà ai propri dipendenti delle condizioni di lavoro più decenti.
Ieri era un problema dei lavoratori dipendenti, i cui salari e le cui condizioni di vita e di lavoro sono state progressivamente saccheggiate nel sostanziale disinteresse (o con interesse di segno contrario) delle altre categorie sociali, adesso comincia a riguardare chi sta solo un gradino più in su.
E adesso chiedetevi: Quale sarà il prossimo gradino? Siete abbastanza vicini alla cima della piramide da potervi sentire sicuri che la cosa domani non toccherà anche voi? Ne siete proprio certi?
Ciao
Paolo
7 commenti:
Buondì,
nella mia esperienza moltissime sono le persone che, dinanzi alla rappresentazione astratta di un rapporto di forza, si identificano sempre con il forte che prevarica il debole*. Questo avviene anche se queste persone, di fatto, sono parte di categorie che in realtà sono in posizione di debolezza, nella vita reale.
In senso opposto, dinanzi a una disparità di trattamento in cui A ottiene qualcosa più di B, queste persone sono pronte a chiedere che A perda il suo vantaggio - perché non lo merita - e raramente preferiscono chiedere per B di raggiungere lo status di A. Anche se essi stessi appartengono a B.
Questo aggrava la situazione descritta dal post, dal momento che esiste un sostegno alle politiche di riduzione dei diritti proprio da parte di chi la sta subendo. Finché essi sono tolti a chi è vicino, si festeggia: "Quei fannulloni hanno quello che si meritano", salvo poi accorgersi di dove si è arrivati quando è troppo tardi.
...e magari, da miserabili posizioni di lavoro subordinato e precario, essersi messi nei panni del grande imprenditore che è bravo a fregare gli altri, e quindi votiamolo, fregerà gli altri, mica noi. Per venti anni.
Saluti
Tommaso
* Ovviamente si potevano usare volgari metafore legate alle penetrazioni posteriori. Ma per quel tipo di stile ci sono altri, più prolissi, blog.
@ T.:
già. e non si rendono conto della cosa nemmno quando ci sbattono su naso e denti...
Ciao
Paolo
Sapere che anche ieri, 1 Maggio, ci fossero centri ed esercizi commerciali aperti, mi ha intristito molto.
Io dico sempre che prima di giudicare qualcosa bisognerebbe cercare di mettersi nei panni degli altri, ma chi felicemente invade negozi e centri commerciali la domenica ed i giorni di festa, evidentemente non lo fa.
Poi un giorno si troveranno a dover andare in fabbrica o in ufficio il sabato, la domenica ed i giorni festivi, lamentandosi che non è giusto...
Boungiorno
Le osservazioni di Guido mi danno lo spunto x condividere con voi quello che mi racconta mia moglie, addetta presso l'ipercoop di Livorno, dove spesso gli capita, anche recentemente per pasqua, che i clienti gli chiedono se la domenica/pasquetta/S. Stefano/1° maggio il supermercato è aperto. Da rimarcate che il centro commerciale in inverno è aperto tutte le domeniche ed inoltre è stato sperimentata l'apertura fino alle 24. Mi segnala inoltre che spesso a chiederle quando sono aperti, sono di solito i clienti più anziani. Mia moglie fa 2 osservazioni assolutamente condivisibili:
- Anche i dipendenti, come i clienti, hanno famiglia e i giorni come pasqua, natale... fa piacere passarli in famiglia.
- Il cliente che la vigilia di Pasqua chiede se a pasquetta l'ipercoop è aperta, o ha delle necessità dovute dalla sua disorganizzazione, o ha talmente scarsi interessi che riempie il suo tempo libero girando tra gli scaffali di un centro commerciale.
Alle richieste dei clienti dell'ipercoop fa da contraltare quanto osservo sui commercianti di Livorno che si lamentano (da sempre) che ci sono pochi soldi in giro, e della concorrenza dei centri commerciali:
Capita in estate che la città, Livorno, nelle domeniche d'estate, sia presa d'assalto dai turisti che arrivano con le navi da crociera, e trovano un centro città tristemente chiuso.
Ai miei occhi sono incomprensibili tanto gli atteggiamenti dei clienti che passano il tempo libero "ad annusare i barattoli" nei centri commerciali, quanto quello dei commercianti che non colgono le occasioni di fare affari, invece di lamentarsi.
@ Guido:
a molti di quelli che affollano nei giorni festivi i centri commerciali o ai loro familiari capita già di lavorare il sabato e nei festivi.
Quindi non trovano strano che lo debbano fare anche gli altri.
Semmai mi meraviglia vedere che, davanti a clienti che hanno difficoltà a passare in negozio nell'orario di apertura (degli annusatori di barattoli di cui parla Michele il commerciante fa giustamente volentieri a meno) la risposta sia praticamente sempre e solo l'ipotesi di estensione dell'orario.
Credo che si potrebbe provare anche altro (per esempio riproporre la consegna a domicilio, magari con ordinazione telefonica e magari attivando un servizio logistico condiviso tra più piccoli commercianti: se funziona per le pizze non vedo perchè non dovrebbe funzionare per la spesa (e magari, visto che le pizze non si consegnano alla mattina ci si potrebbe govare anche dei servizi di recapito già esistenti, almeno in parte). In fondo mi pare che parte della grande distribuzione lo faccia e che un tempo fosse più diffuso di oggi -penso a lattai, panettieri,..-).
Ciao
Paolo
Sono d'accordissimo che chi abita in un posto turistico debba, purtroppo, lavorare i giorni festivi, se vuole (deve) massimizzare la redditività, e si potrà godere il bel luogo di mare, lago o montagna in cui ha avuto la fortuna di nascere nei giorni feriali, senza la scocciatura dei turisti ;-) (chi è nato in città d'arte è un po' meno fortunato, da questo punto di vista).
Se poi riflettiamo un attimo, le persone che vagano la domenica nei centri commerciali, probabilmente prima erano quelle che passavano la domenica al mare, al lago, in montagna o anche solo "fuori porta", luoghi a cui ora fanno mancare i loro consumi, sia che fossero pranzi con succesivo shopping, sia che fossero solo dei gelati da passeggio o lo zucchero filato.
Siamo così sicuri che il PIL generato dai centri commerciali/negozi aperti la domenica nelle città "normali" sia superiore a quello perso dai luoghi turistici e che l'incremento complessivo delle vendite da quando ci sono le aperture domenicali compensi i maggiori costi degli esercizi commerciali?
Mi sbaglierò, ma io ne non sarei così sicuro...
Purtroppo, quello che ancora i "piccoli" commercianti non hanno capito, oltre a puntare tutto sulla qualità non potendo competere sui prezzi, è che devono approfittare di quanto la tecnologia mette loro a disposizione ed associarsi per fornire dei servizi.
Leggevo giorni fa un articolo che descriveva la morte delle librerie locali, schiacciate da Amazon e gli altri venditori online, le quali chiedono aiuti, leggi e quant'altro per bloccare l'inesorabile avanzata della tecnologia.
Perché, invece, le librerie di una città non si uniscono per fornire la possibilità di acquistare con lo smartphone un libro dalla libreria più vicina che lo abbia disponibile e te lo consegni in poche ore o, al massimo un giorno, invece dei 2, 3 o 4 giorni di Amazon, Hoepli o BOL?
@Guido
Non siamo sicuri che si possa generare PIL liberalizzando aperture e chiusure*, ma almeno proviamoci!
Raccontavo per esempio del tentativo fatto di tenere aperto il centro commerciale dove lavora mia moglie, fino alle 24. Un tentativo fallito, a quanto pare, a causa dello scarso riscontro della clientela.
Non che creda davvero che l'aumento del PIL risolva i mali di questo paese, ma magari si potrebbe venire incontro a esigenze e bisogni nuovi che ci sono sia nel cliente che nel lavoratore, come nell'esercente.
Per esempio i primi anni in cui ho cominciato a lavorare il mio orario era il classico 8-17. Cambiando lavoro ho dovuto accettare di lavorare in turni, cosa che pensavo fosse assai pensante e che mal si conciliasse con i miei interessi (di allora) di ragazzo poco più che 20enne, mentre invece lavorare in turno mi ha aperto un mondo!
Saluti.
*Detto tra noi, a me non me ne frega niente di lavorare la Domenica o a Natale - qualche volta è capitato - se tra l'azienda ed il sottoscritto c'è un venirsi incontro alle reciproche esigenze di orari. Forse parlo bene perché ho un buon rapporto con il mio capo e spesso non ho problemi ad accontentarlo per straordinari e accomodamenti di orari, così come lui, nel limite del possibile, mi accontenta quando chiedo ferie permessi e aggiustamenti di orario.
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