ho già scritto in altro momento della mia incapacità di affrontare in maniera costruttiva il tema dei femminicidi.
Oggi mi tocca in qualche modo tornare sull'argomento un po' più esteso della violenza sulle donne, perchè, da convinto sostenitore della parità di genere e del rispetto dei diritti altrui, non riesco ad accettare che determinate idee sbagliate cacciate a fatica fuori dalla porta, rientrino dalla finestra nel campo della società italiana, per mantenerla in uno stato di evidente arretratezza.
Parto dal mio sconforto per le posizioni che vorrebbero le vittime del femminicidio causa delle proprie sofferenze, posizioni rese celebri a fine anno dall'ormai celebre parroco di Lerici don Piero Corsi, ma presenti e confermate (qui e qui, per esempio nei contenuti di un sito quanto meno vicino alla Chiesa (se non proprio espressione semi ufficiale delle sue posizioni più conservatrici, visto che ospita spessissimo articoli ed interviste di alti prelati, rarissimamente oggetto di smentita) e che sosterrebbero tra le altre cose lo stereotipo per cui abiti succinti o provocanti sono un'istigazione alla violenza.
Nessun comportamento della vittima è una giustificazione o un'attenuante in caso di violenza: nulla nel vestire o nell'atteggiarsi giustifica o sminuisce la gravità di atti violenti, nulla può essere indicato come corresponsabilità in un abuso subito: l'incapacità di controllo di (troppi) violenti non ha bisogno di questi pretesti per scattare, come dimostrano realtà culturali dove è considerata trasgressiva e provocatrice persino l'esposizione di capelli, labbra o addirittura occhi.
Non è importante come la vittima si vesta o si comporti: comunque venga fissato il limite della presunta provocazione troverete chi si considererà giustificato da una propria idea personale di un limite diverso.
E giungo alle deprimenti conclusioni del procuratore di Bergamo che, sicuramente nell'intento di fornire alle donne un meccanismo di difesa, suggerisce loro di non uscire da sole la sera per non correre rischi. Il che mi ricorda purtroppo il Cafiero Pasquale di "Don Raffaè": "lo Stato che fa? si costerna, s'indigna, s'impegna,
poi getta la spugna con gran dignità".
Dichiarazioni simili purtroppo, secondo me, non sono un passo verso la soluzione del problema, ma ne sono parte. Perchè non sta nè in cielo nè in terra che io mi debba vergognare di vivere in una realtà dove si è costretti a confrontarsi con problemi simili, come avviene, mentre sono persone che esprimono idee come quelle qui sopra che devono vergognarsi di suggerire il baratto tra la rinuncia ai propri diritti e una falsa sicurezza.
E non esiste che una vittima debba essere chiamata in causa per i propri comportamenti o per i propri vestiti, quali che siano, quando a vergognarsi deve essere unicamente chi, come un cane, è incapace di frapporre un minimo di controllo tra una pulsione ed il suo soddisfacimento (e per questo solo motivo è incapace di rispettare il prossimo) o chi fornisce dei contorti alibi a costoro.
Purtroppo non credo esista una strada semplice per superare l'attuale situazione: è vero che alcuni comportamenti ed alcuni contesti sono più rischiosi di altri ed è altrettanto vero che conquistare e conservare i propri diritti non è nè facile nè indolore, ma (anche se il fatto che ad affermarlo sia un uomo può apparire incongruo) rinunciarvi per paura delle conseguenze non farà altro che abbassare l'asticella e spostare la giustificazione della violenza e del sopruso in contesti attualmente ritenuti meno provocatori e più sicuri.
Se oggi possiamo definire rischioso (rischioso, non provocatorio) andare in giro vestite con tacchi, abiti scollati e minigonna di notte, se le donne vi rinunceranno domani lo diventerà andare in giro in gonna la sera. E poi magari anche senza il velo e persino di giorno.
Il che significa che farlo è esattamente il contrario che andarsela a cercare.
Ciao
Paolo
3 commenti:
Buondì,
naturalmente condivido. Aggiungo solo una postilla anticlericale.
È frequente sentire critiche o prese in giro nei confronti di quei barbuti estremisti mediorientali che tengono le donne con il velo e sono ancora nel medioevo.
Sentendo certe dichiarazioni viene da pensare che la differenza tra quel mondo e il nostro sia il potere effettivo che possono gestire gli ecclesiastici.
Se la Chiesa avesse completa libertà di imporre la sua visione, vedremmo davvero tante differenze?
Saluti
T.
E' evidente che in un mondo ideale ciascuno può fare ciò che gli pare, così come è assolutamente falso che gli stupri siano causati dal comportamento provocante della vittima.
Il questore voleva dire un'altra cosa: che NON E' POSSIBILE mettere un poliziotto ogni 50 metri. E che la realtà è che una donna è più esposta alle aggressioni degli uomini. Questo nel mondo reale. Poi se vogliamo parlare di Babbo Natale va benissimo, una donna ha il diritto di girare nuda ad Harlem la notte eccetera eccetera.
Paolo BS
@ Paolo BS:
No, non è parlare di Babbo Natale, perchè il procuratore è andato oltre l'affermazione ovvia che non è possibile garantire la sicurezza ovunque e che alcuni comportamenti e / o contesti sono più pericolosi di altri.
Ha suggerito di evitarli rinunciando ad un diritto.
E, da parte mia, sottolineare che le violenze che si rischia di subire in queste situazioni non sono meno gravi ma forse più "utili" (passami la drammatica e brutale semplificazione del concetto) di quelle che si verificherebbero in un contesto maggiormente "chiuso" dopo la rinuncia al diritto alla propria libertà, non è parlare di Babbo Natale, ma invitare a riflettere anche su altri danni e violenze prevedibili.
Ribadisco, dal mio punto di vista non c'è nulla di provocante in una donna con l'hijab. Ma per chi vorrebbe il Burqua, il lascivo hijab è sufficiente per considerarne l'indossatrice una provocatrice.
Altro che Babbo Natale.
Ciao
Paolo
Posta un commento