Buongiorno,
oggi vi prongo un post molto amaro su due argomenti.
Ci sono degli accostamenti, non so quanto voluti, che possono essere estremamente pericolosi.
Venerdì rientrando a casa in macchina ascoltavo alla radio la conclusione del programma di Barisoni, che ospitava uno dei tanti piccoli imprenditori che in questo periodo stanno vivendo la crisi sulla loro pelle con conseguenze devastanti e che testimoniava di un tentativo di resistere davanti ad una realtà ben più grande di lui.
Sabato ho scoperto dai giornali che nell'immediato prosieguo della programmazione di Radio 24 Cruciani ha invece ospitato Massimo Calearo, ex parlamentare PD, attualmente sodale di Scilipoti, che dall'inizio dell'anno non si presenta in Aula, non rinuncia allo stipendio da Parlamentare, intesta il SUV a società estera per non pagarvi tasse e, ça va sans dire, dichiara più o meno implicitamente la propria omofobia.
Perchè sono sicuro che l'uscita sulle brioches ha avuto il suo peso nella decapitazione di Maria Antonietta, ed in generale l'ostentazione di disinteresse (se non disprezzo) per i problemi degli altri è una istigazione alla violenza tanto più grave quanto più è accompagnata da rivendicazioni di comportamenti antisociali e snob in una realtà che soffre sempre più. E l'accostamento di venerdì ho l'impressione sia stato parossistico in tal senso: qualcuno pertanto tenga gente simile lontana dai microfoni prima la disperazione cominci a far rotolare teste.
Mi pare di avere già ringraziato abbastanza in altri momenti chi aveva candidato un tale bell'esempio umano nel centro sinistra (perchè che Calearo fosse così si sapeva da sempre e lo sapeva anche Veltroni che lo ha fortemente voluto in lista).
E veniamo alla seconda parte, quella più amara e dolorosa.
L'imprenditore che è intervenuto da Barisoni mi ha sinceramente toccato con la sua storia, che è la storia drammatica (e commovente) di una piccola azienda che non regge più nè crisi nè concorrenza, strangolata dalle banche e ormai incapace di trovare sbocchi su un mercato depresso, il cui titolare mette tutto se stesso ed i suoi beni nell'azienda stessa e si rifiuta di chiudere, restando in attesa di vedere banche ed ufficiali giudiziari che mettono i sigilli e mandano a casa i dipendenti.
Confesso che quando la trasmissione è finita avevo un grosso groppo alla gola e che, come evidentemente anche lo stesso Barisoni, avevo la netta percezione (per la vicenda e la disperazione che emergeva dai toni accorati e sinceri usati nel descriverla) che questo potesse essere uno di quegli imprenditori che ultimamente sono tentati da gesti estremi in numeri sempre più grandi.
Questo per dire che nelle considerazioni che seguono non c'è nessuna prevenzione nei suoi confronti, anzi provo un misto di malinconica simpatia e di rabbia per la situazione in cui sono lui ed i suoi dipendenti.
Ma tra le cose che l'imprenditore ha detto ve ne sono molte che purtroppo danno la misura di quanto inadeguata sia la sua azienda (e la stragrande maggioranza delle imprese italiane) non davanti alla crisi, ma davanti al mercato, per sua stessa implicita ma lucida ammissione. Vediamo un po' di cosa parlo:
- le banche chiedono di rientrare dai debiti, mentre serve che riaprano il credito. Purtroppo è ovvio e giusto che rivogliano i loro soldi. Hanno prestato del denaro, non l'hanno regalato: lo rivogliono indietro. Quando le cose vanno bene e lavori con margini grassi puoi sfruttare la leva tra un interesse praticato ad un debitore affidabile ed un rendmento dell'investimento che lo sorpassa abbondanetemente. Quando le cose vanno male però i debiti ti strangolano. Indebitarsi significa correre dei rischi che possono devastarti, rischi che le aziende italiane hanno scelto di correre con troppa facilità. E' quello che ci dicono quando affermano che le imprese italiane sono sottocapitalizzate.
- la possibilità di riposizionarsi su fasce di prodotto più elevate e a maggior margine non funziona. Siamo una realtà di piccole dimensioni, siamo bravi ma, realisticamente, non siamo fenomeni. Paghiamo i componenti più di quanto la concorrenza riesce a prezzare il proprio prodotto. Ed il prodotto della concorrenza è di ottima qualità: ormai la Cina produce più alta tecnologia e di livello più avanzato di noi. Fa pendant con il punto precedente: perchè dovrebbero farci credito se il nostro prodotto non ha più mercato, spazzato via da ltri?
- siamo stati penalizzati dall'Euro. Una volta con le svalutazioni... lo Stato contro cui tutti sbraitano e che tutti cercano di fregare appena possibile si faceva carico di spalmare su tutti l'inefficienza di alcuni.
- Bisogna che venga ridotto il costo del lavoro...
Insomma il tutto si sintetizza in questo modo: la concorrenza ha investito in R&D sino a produrre dei prodotti che hanno raggiunto (e forse superato) la qualità del nostro decantato Made in Italy, noi non lo potevamo fare perchè eravamo troppo piccoli.
La concorrenza ha dimensioni tali da realizzare economie di scala ed ottimizzazioni di processo tali da pagare il prodotto finito meno di quanto a noi costino i componenti: se il nostro costo del lavoro fosse un decimo di quello cinese non saremmo concorrenziali lo stesso.
Probabilmente non lo eravamo nemmeno una volta, ma le barriere statali e le svalutazioni che scaricavano su tutto il Paese la nostra inefficienza ci avevano dato questa illusione (magari contribuendo a gonfiare il debito pubblico ai livelli attuali), al punto che le rivorremmo indietro, senza renderci conto che sono strumenti efficaci solo sul breve periodo e localmente.
Infine non riusciamo a far altro che chiedere altro credito, riduzione del costo del lavoro e, implicitamente, rimpiangere la lira, perchè non abbiamo più margini di manovra.
In maniera più feroce vedo che anche nel sito di Uriel si parla di argomenti analoghi con conclusioni purtroppo simili (spero non veniate reindirizzati su siti alternativi).
Non è con questa imprenditoria che abbiamo la possibilità di stare a galla: bisogna che le aziende italiane si fondano, realizzino consorzi e si modernizzino il più velocemente possibile, sinchè c'è ancora qualche margine per poterlo fare e sempre che ci sia.
Perchè dopo il fallimento non hai più queste possibilità.
Ciao
Paolo
3 commenti:
Buongiorno,
Paolo mi ha anticipato il post! Anche io ho sentito quasi tutto l'intervento dell'imprenditore da Barisoni. E anche a me ha fatto molta impressione il suo tono e la sua condizione.
Ma esattamente come te ho colto che nella comprensibilissima disperazione dell'uomo mancava la presa di coscienza delle responsabilità che la categoria imprenditoriale di quel tipo si porta addosso.
Oltre a quanto scrive Paolo, mi ha colpito il fatto che si definiva "concorrenza sleale" il fatto che i cinesi o chi per loro non partissero da zero nel produrre ciò che l'azienda dell'intervistato ha sviluppato in trent'anni. Come se fosse una questione di fair play.
E infine l'amarezza nel vedere che la soluzione secondo quest'uomo sarebbe abbassare il costo del lavoro: cioè pagare come cinesi quei dipendenti di cui è stato al matrimonio.
Molto deprimente è stato sentire la disperazione di quest'uomo e contemporaneamente la sua cecità di fronte alle reali cause della sua situazione.
Una nota aggiuntiva: perché il dibattito politico è tutto incentrato intorno al mercato del lavoro, e in particolare allo specchietto per le allodole dell'articolo 18 e delle responsabilità della crisi da parte di una categoria imprenditoriale inadeguata non parla mai nessuno?
Saluti
T.
@ Tommaso:
"perché il dibattito politico è tutto incentrato intorno al mercato del lavoro, e in particolare allo specchietto per le allodole dell'articolo 18 e delle responsabilità della crisi da parte di una categoria imprenditoriale inadeguata non parla mai nessuno?"
Nel post di domattina riporterò un po' di considerazioni sugli argomenti trascurati dalla nostra politica come me li suggerisce il mitico investitore tedesco Sigfried von Grochen...
Ciao
Paolo
Bravo, bel post.
bye,
MS
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