Vino, osti e precarietà

Buongiorno,

uso un po' si spunti per tornare su uno dei miei chiodi fissi, perchè mi pare che l'attualità lo imponga, e anche che sarebbe ora di riconsiderare un po' delle nozioni che diamo per scontate.

In particolare l'ennesimo record negativo in termini di occupazione, in particolare quella giovanile, dovrebbe probabilmente farci riflettere un attimo.

Ci avevano detto che il mondo del lavoro aveva bisogno di flessibilità, e che questa sarebbe stata la chiave per lo sviluppo economico del nostro Paese nonchè la bacchetta magica per trovare lavoro. 

Il che poteva starci, anche se c'erano molti indizi che, forse, le cose non stavano proprio e solamente così.

Perchè rendere facile liberarsi di un lavoratore significa proprio, tautologicamente, liberarsi facilmente di un lavoratore. E non necessariamente assumerlo facilmente.

E rendere conveniente per i datori di lavoro forme di lavoro precario significa che nel medio lungo periodo queste sostituiranno quelle stabili.

E, se il lavoratore è flessibile (o meno ipocritamente, precario), non è detto che lo sia la realtà in cui opera e vive.

Il che spiegherebbe piuttosto bene una serie di situazioni spiacevoli che stanno connotando la crisi economica e sociale italiana di questi anni. e che stanno travalicando il recinto cui si pensava di averle confinate, cioè quello dei giovani cui la flessibilità è stata proprinata come entry point della carriera lavorativa, e per i quali si è dimostrata invece l'unico status cui possono ambire.

Perchè, come si è già detto, se è più facile sbarazzarsi di un precario, sarà questo a rimetterci. E la stretta correlazione giovani - precari, quando il 46% dei giovani è disoccupato, dice chiaramente che la flessibilizzazione del mercato del lavoro non ha portato benefici ai lavoratori in termini di occupazione.

E, tutt'altro che paradossalmente, sta forse invece cominiciando a portare nel baratro anche gli astutissimi imprenditori che ritenevano di aver trovato un settore grazie al quale continuare a restare competitivi in regime di rinnovata "svalutazione competitiva": riduco il costo del lavoro grazie ai precari, quindi resto sul mercato, magari senza investire in innovazione.

Peccato che quelli che pago poco e cui nego le garanzie di un rapporto di lavoro anche formalmente  continuativo alla lunga diventino dei mancati clienti: hanno pochi soldi da spendere e non hanno la possibilità di accedere a mutui e finanziamenti. Hanno difficoltà a pianificare qualsiasi cosa, persino la propria vita familiare.

Suggerisce qualcosa che la crisi italiana sia connotata da un drammatico buco nella domanda interna, specialmente in settori come l'immobiliare, l'automotive, gli elettrodomestici bianchi (1)?

Suggerisce qualcosa il fatto che i giovani non facciano figli (2)?

Suggerisce qualcosa che l'emigrazione giovanile sia ripresa in maniera massiccia dal nostro Paese verso lidi dove le prospettive sono migliori?

Che stia mancando alla vita del Paese l'apporto di una fascia d'età cui è stata drammaticamente ridotta la possibilità di fare la propria parte?

Eppure, malgrado siano sempre più numerosi gli indizi che punterebbero in una direzione, mi pare si continui a marciare in senso opposto, perchè non sento alcuna seria disanima in materia. 

E anzi, con la lungimiranza che contraddistingue la nostra stampa, affidiamo sul primo quotidiano nazionale una lusighiera analisi sul Jobs Act all'AD di una grossa multinazionale di lavoro interinale.

Un po' come chiedere all'oste com'è il vino.

Ciao

Paolo

(1) tutti settori in cui è normale aver bisogno di credito e progetti di almeno medio - lungo periodo

(2) Mi spiace per il Papa, ma credo che il fenomeno di sostituzione dei figli con cani e gatti sia assolutamente marginale rispetto alla triste e banale incapacità di garantire ai propri figli un futuro minimamente sereno. Forse sarebbe più sensato mirare al bersaglio grosso...

6 commenti:

F®Ømß°£ ha detto...

Aggiungerei che il lungimirante imprenditore che preferisce cambiare, flessibilmente, il proprio dipendente precario ogni tre per due, fa anche un cattivo investimento in termini di qualità del lavoro di questi e di aumento della professionalità della propria azienda.

Saluti dalla città del capitano Ramius

T.

PaoloVE ha detto...

@ T.:

è vero, però gli consente di effettuare in maniera semplice quel "peak shaving" di competenze che gli permette di restare il riferimento indispensabile in ditta.

Se non riesco ad elevarmi al di sopra delle competenze dei miei sottoposti abbasso le loro impedendogli di crescere professionalmente...

Nel post manca un altro "effetto collaterale" della precarietà un po' più tecnico di quelli che ho già citato: se alle banche viene a mancare la possibilità di erogare la forma di credito più sicura (mutuo prima casa), la qualità complessiva dei loro crediti peggiora.

E non possono erogarne altri di più rischiosi, magari alle impese.

Suggerisce qualcosa il termine credit crunch?

Ciao

Paolo

Philip Michael Santore ha detto...

@ PaoloVE - ma poi, in concreto, quale sarebbe l'alternativa?

@ F®Ømß°£ - così, come spunto di riflessione, chiedi in giro di quali tutele giuslavorative godono nella città in cui ti trovi.

PaoloVE ha detto...

@ PMS:

"ma poi, in concreto, quale sarebbe l'alternativa?"

Rendere convenienti per gli imprenditori i contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato?

Guarda, io non ho la bacchetta magica per proporre una soluzione, ma vedo che la bacchetta magica che è stata massicciamente usata negli ultimi vent'anni non ha sortito gli (improbabili -questo mi sento di dirlo-) effetti promessi.

Mi accontenterei del fatto che se ne prendesse atto e si cominciasse a considerare la cosa ed eventualmente a cercare strade diverse per crescere.

Ma non mi pare che questo stia avvenendo, anzi, si continua a credere che quella sia la strada da percorrere. E, come prevedibile, continuiamo ad avvitarci.

Ciao

Paolo

Philip Michael Santore ha detto...

"Rendere convenienti per gli imprenditori i contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato?"

Qual è per l'imprenditore la differenza fondamentale di costo fra le due figure? Direi il costo del licenziamento.

Per cui un modo per farlo potrebbe essere quello di abbassare il costo del licenziamento di un dipendente a tempo indeterminato al livello di quello di uno a tempo determinato.

Ma sappiamo che la cosa incontrerebbe opposizioni sufficienti a far archiviare la proposta.

L'altro è quello di alzare talmente i costi fiscali dei contratti a tempo determinato al punto da renderli tanto poco convenienti come quelli a tempo indeterminato.

E se ciò inducesse gli imprenditori ad assumere meno, a rinunciare a ingrandire l'impresa, a delocalizzare, a chiudere, a chiedere al dipendente di aprire una partita IVA, ad assumere al nero e quant'altro?

PaoloVE ha detto...

@ PMS:

purtroppo sei uno di quelli che confermano in pieno il mio timore che non si voglia nemmeno ipotizzare di essere sulla strada sbagliata e vedere se esiste una alternativa.

"Qual è per l'imprenditore la differenza fondamentale di costo fra le due figure? Direi il costo del licenziamento."

E diresti molto male. Basta vedere la differenza di retribuzione tra un lavoratore TI ed un ricattabilissimo precario per sapere che questa è una fesseria, peraltro prevedibilissima. Se il tuo contratto va rinnovato ogni tre mesi non puoi permetterti di tirare sul prezzo. E la controparte se ne approfitta.

"E se ciò inducesse gli imprenditori ad assumere meno, a rinunciare a ingrandire l'impresa, a delocalizzare, a chiudere, a chiedere al dipendente di aprire una partita IVA, ad assumere al nero e quant'altro?"

E quale di queste situazioni non si sta già normalmente e massicciamente verificando, magrado la ormai ventennale precarizzazione selvaggia?

Ciao

Paolo