Buongiorno,
ieri si è celebrato con un po' di malcelato imbarazzo il decimo anniversario dell'omicidio di Marco Biagi.
Imbarazzo su tutti i fronti:
da parte dei sindacati che l'avevano in più occasioni trattato da nemico e che vedevano il suo nome associato ad una riforma del mercato del lavoro che li ha lentamente dissanguati negli anni;
da parte della compagine politica che prima aveva espresso l'uomo che, liquidandolo come un rompicoglioni, lo aveva abbandonato ai suoi killer, e, in seguito, aveva reintegrato quella stessa persona in ruoli di responsabilità (a sua insaputa, probabilmente);
da parte di chi strumentalizzò il nome e ruolo di martire per propugnare una riforma che di quanto Biagi aveva eleborato accettava solo la parte delle considerazioni che era di loro interesse, promuovendo in questo modo una riforma squilibrata ed penalizzante per i più deboli;
da parte di chi non ebbe coraggio, forza, intelligenza o onestà intellettuale per spiegare (oppure, e mi ci metto in mezzo anche io, per andare a cercare) quali fossero gli ammortizzatori sociali che Biagi riteneva necessari a creare un nuovo mercato del lavoro che avesse un minimo di equità;
da parte di chi considera il suo operato la madre del precariato, dimenticando quanto fatto in tal senso prima e dopo da altri e quanto lui avrebbe voluto fosse predisposto in senso opposto;
da parte di chi, in oltre dieci anni, non ha avuto coraggio, forza, intelligenza o onestà intellettuale per perfezionare una riforma che di Biagi prese il nome, ma che rimase incompleta e zoppicante, al punto che il mercato del lavoro è, ancora oggi, il terreno di scontro preferito tra tutte le parti sociali;
da parte di chi, infine, vorrebbe strumentalizzarlo oggi una volta di più per "riformare" a senso unico i rapporti in quello stesso campo;
Il risultato è che, a distanza di dieci anni, Marco Biagi mi sembra altrettanto solo e strumentalizzato di quando di quando era un cadavere steso a terra a fianco alla sua bicicletta sotto i portici di Bologna.
Ciao
Paolo
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