qualche giorno fa, stimolato dalle dichiarazioni in materia della Presidente di Confindustria, avevo scritto questo sul fantasma che si aggira nelle trattative sindacali italiche.
Abbiamo poi scoperto che, probabilmente, quelle dichiarazioni non erano casuali, visto che nelle pieghe della bozza del decreto liberalizzazioni si nasconde un mini ridimensionamento dell'applicabilità dell'art. 18.
Per favorire una crescita delle dimensioni delle microscopiche imprese italiane, infatti, si prevede di rendere inapplicabile l'art.18 alle aziende che, per effetto di fusioni / incorporazioni, superassero i 15 dipendenti (e non eccedessero comunque i 50).
I sindacati, come sempre, urlano contro l'evidente (ai loro occhi) blasfemia della cosa, mentre io, personalmente, vi sono favorevole, pur ritenendola scarsamente utile e completamente sbilanciata a favore dei soli imprenditori, con buona pace delle promesse di equità fatte dal governo Monti.
Credo che la proposta sia scarsamente utile perchè a limitare le dimensioni aziendali italiane è secondo me principalmente la diffusa incapacità imprenditoriale a gestire situazioni complesse: moltissime microimprese italiane sono strutturate in modo da realizzare un unico processo molto semplice (ad esempio, estremizzando, un capannone in affitto dove cinque signore cuciono con cinque macchine da cucire la tela tagliata dall'impresa del civico precedente per vendere le camicie prodotte all'impresa del grossista del civico successivo).
L'idea di crescita che ha mediamente il proprietario è passare da cinque a dieci cucitrici per raddoppiare la produzione, quindi di uno sviluppo orizzontale, basato esclusivamente sull'aumento del numero dei dipendenti e non sulla loro crescita professionale, mentre quella che fa sviluppare l'impresa e la società in cui è inserita è quella di passare invece a otto cucitrici, una tagliatrice per gestire la fase a monte ed un commerciale per gestire la distribuzione: a parità di numero degli impiegati, per la seconda azienda migliorano la capacità dell'azienda di interpretare il mercato ed adeguarvisi, i margini possibili, le possibilità di sinergie,...
Ma, poichè pochi imprenditori sanno gestire realtà complesse, questo secondo modo di crescere è scarsamente presente in Italia.
Credo poi che la proposta non presenti traccia dell'equità che il governo prometteva, e che sia destinata giustamente a inasprire i rapporti tra il governo ed il sindacato perchè totalmente ed unicamente sbilanciata sulle posizioni degli imprenditori.
Dico questo perchè se lo scopo fosse quello di favorire la crescita delle imprese, allora avrebbe avuto molto senso aggiungere il provvedimento simmetrico, destinato a scoraggiare il downsizing aziendale che ha caratterizzato gli ultimi decenni, prescrivendo il mantenimento dell'applicabilità dell'art. 18 anche alle aziende che, a seguito di cessione di ramo d'azienda, spin off, smembramenti... riducessero il numero dei loro dipendenti al di sotto dei 15, cosa che avrebbe tolto molta voce alle proteste del sindacato (anzi, se fossi il sindacato la utilizzerei come controproposta costruttiva...).
Ma questa "gamba" nella bozza del decreto non mi risulta ci sia, e quindi il tutto finisce collo zoppicare un po' troppo per essere equo...
Ciao
Paolo
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